Vangelo e Zen, Desio, 25 maggio 2017
l’ape e il fiore
pura libertà – pura obbedienza
Fermo sul bordo di una strada di campagna ascolto il ronzio delle api al banchetto di bianchi fiori di robinia. Al posarsi e al distaccarsi dell’ape, il fiore annuisce con una leggerissima oscillazione. Un benvenuto! Un addio! Poi, in simultanea immobilità, l’ape succhia il nettare e il fiore lo cede.
Un antico detto dello Zen dice: “L’ape chiama il fiore – il fiore chiama l’ape”. L’ape non forza il fiore ancora socchiuso, il fiore ancora socchiuso non emana il profumo che chiama l’ape. Al momento giusto il fiore attira l’ape e l’ape ricerca il fiore, liberi senza saperlo. Qualora lo sapessero, la conoscenza li dividerebbe: l’una parte si farebbe soggetto riducendo l’altra ad oggetto: l’ape sfrutterebbe il fiore e il fiore accalappierebbe l’ape. La libertà pura è, contemporaneamente, obbedienza pura: è chiamare ed essere chiamato. E’ chiamare dentro l’essere chiamato, è essere chiamato dentro il chiamare.
Elenco alcune esperienze di pura libertà – pura obbedienza, familiari a tutti noi. La mammella della madre turgida chiama la bocca del bambino, la bocca del bambino affamato chiama la mammella della madre. Il bambino sente la gioia del pieno, la mamma quella del vuoto. Il fidanzato attende la fidanzata e la fidanzata attende il fidanzato: quindi in due condividono un solo gelato. Lo sposo chiama la sposa e questa chiama lo sposo: i due sono intimità ricevuta e data. Dopo una giornata di lavoro sotto il sole estivo il corpo disidratato chiama un boccale di birra grondante freschezza, e la birra reclama un corpo inaridito in cui sprizzare le sue pollicine di vigore.
E c’è anche il momento di pura libertà – pura obbedienza nel dolore. Il bimbo giunto a maturazione soffre l’angusto seno della madre, e la madre soffre la crescita vigorosa del frutto del suo seno. Le due sofferenze si fondono in una, e così la vita partorisce vita che è bocca di infante che chiama la mammella, ed è mammella turgida della madre che chiama il bambino.
Quando un genitore entra in agonia, i figli per affetto lo vorrebbero trattenere, ma il genitore per l’affetto verso i figli desidera morire allo scopo di alleviare l’onere dell’assistenza. Ed ecco che l’affetto che vuole trattenere e l’affetto che vuole partire tacciono contemporaneamente nell’evento che accade: la morte. L’affetto del genitore è giunto fino in fondo, l’affetto dei figli è giunto fino in fondo. Così fu alla morte di mio padre e di mia madre.
I momenti più veri della nostra vita, quelli di indisturbata pace, furono momenti di pura libertà – pura obbedienza. Nel mezzo non s’infrapponeva nessn io a vantare indipendenza, e nessun io a imporre obbedienza. Libertà e obbedienza, fuse nella pace di quel momento, non avevano alcun nome proprio. Di per sé ogni respiro fisicamente è pura libertà – pura obbedienza. L’io della mia consapevolezza è assopito nel sonno, mentre il respiro liberamente – obbedientemente svolge la sua funzione.
La violenza terroristica colpì anche Manchester. All’esplosione molti fuggirono mentre le vittime giacevano sul lastrico. Chris Parker, trentenne senza tetto, rimase tutta la notte a correre per mettere in salvo giovani vite. “… Mi sono buttato a terra ma, quando mi sono rialzato, invece di scappare via il mio istinto è stato quello di correre avanti e cercare di aiutare… C’era gente ovunque sul pavimento. Ho visto una bambina… non aveva più le gambe. L’ho avvolta in una maglietta e le ho domandato dov’erano la mamma e il papà. Mi ha detto che il padre era al lavoro e la mamma lassù.” (da Mirror, on line). La gente disprezzava il clochard Chris Parker che dormiva all’aperto nell’arena di Manchester. Quella gente all’esplosione fuggì; il clochard rimase.
La fede è una profonda intuizione che esplode silenziosa da dentro le prove che l’uomo attraversa lungo il cammino della vita. A una condizione: quella di non scappare. Gli spiragli di fuga sono tanti. E’ lo spiraglio della perfezione assolutizzata che, appunto perché irraggiungibile, dà licenza a fuggire. E’ quello della debolezza e della fiacchezza che, proprio perché la norma è la fiacchezza, è sempre in fuga da ciò che costa. E’ l’ateismo che, proprio perché senza Dio, fa di sé il proprio dio. La libertà dell’ateo non ha da obbedire ad alcuno oltre il proprio io-dio. E’ il teismo che, proprio perché rimanda tutto a dio, ha solo da obbedire senza una propria libertà da portare fino in fondo.
Molti interpretano che la fede sia culto reso a Dio. Questa visione è forte nell’Islam, con l’eccezione dei mistici sufi. Alcuni fanno coincidere la fede con la pratica religiosa. Vorrei chiedere a Chris Parker quale pratica religiosa abbia seguito. C’è troppa obbedienza nella fede di molti, a scapito della libertà. Oppure c’è troppa libertà nella fede di altri, a scapito dell’obbedienza. E gli uni e gli altri sanno scegliere i versetti delle Scritture che danno loro ragione, senza mettere al vaglio i loro spiragli di fuga. Forse molti cattolici sono obbedienti ma meno liberi. Forse molti protestanti sono liberi ma meno obbedienti.
La fede vera è sempre in bilico e gli attimi di pura libertà – pura obbedienza che concede in rari istanti della vita, subito li sottrae e riconduce nella nuda esistenzialità, come Gesù ricondusse a valle i tre discepoli che prima aveva condotto sul monte a gustare l’idillio della trasfigurazione. Anzi, ordinò loro di non raccontare nulla, prima della sua passione e morte.
Nella fede la libertà e l’obbedienza sono in croce: il ramo verticale della pura libertà e quello orizzontale della pura obbedienza. La libertà inchioda l’obbedienza e questa la libertà. Inchiodato su quella croce l’uomo della fede, nudo e trafitto, muore pregando il perdono. Clochard della salvezza universale.
p. Luciano
da: http://www.telegraph.co.uk/news/2017/05/30/homeless-man-rushed-help-manchester-attack-victims-has-emotional/