Vangelo e Zen, Desio, 2 febbraio 2018
l’uomo è una canna pensante
Senza aver fatto una particolare scelta, i libri la cui lettura mi ha fatto compagnia nel primo mese di quest’anno, da punti di vista differenti mi hanno rievocato vividamente la famosa espressione di Blaise Pascal: L’uomo è una canna pensante. I libri in questione sono: 1) Monologhi di F. Schleirmacher (Diabasis); 2) Il bisogno di pensare di V. Mancuso (Garzanti); 3) Generare Dio di M. Cacciari (Il Mulino).
La canna è esile, per cui ogni ventata la piega a terra, sia a destra sia a sinistra; la canna è forte e, passata la ventata che l’ha piegata a terra, risorge diritta verso il cielo. Forte perché esile, esile perché forte. Nell’ambivalenza del pensiero, le differenti sfumature culturali di oriente e di occidente. E, nel bel mezzo, ciascuno di noi.
Schleirmacher fu un teologo tedesco dell’idealismo protestante, quando Hegel celebrava la potenza del pensiero identificato nel Verbo del proemio del Vangelo secondo Giovanni. Il rapporto diretto che il credente intesse con Dio lo ricolma di una profonda esaltazione: “Io non ritorno mai triste dalla contemplazione di me stesso…. Perciò la contemplazione di me stesso mi eleva ben al di sopra del finito…” (pp. 44-45). L’idealismo, ossia il pensiero percepito come potenza assoluta, pur nel suo limite è l’esperienza di ogni essere umano. Forse avviene soprattutto dopo un periodo di dura prova, in cui ci si è lasciati temprare senza arrendersi. Tutti noi in alcuni momenti e situazioni, palesamente o anche soltanto nell’intimo, ci siamo percepiti immortali. “Ma in realtà lo spirito si libra già ora sopra il mondo del tempo, e contemplarlo è già eternità e godimento celeste di cori immortali” (p 48). In quest’oggi, in cui è prepotente la tendenza a lasciarsi andare e cedere all’abulia del fatalismo, un qualche momento di pura estasi, un qualche tripudio di nobiltà umana, un qualche bacio di Dio sulla nostra guancia infreddolita dai rigidi venti della storia, questi momenti sono una grazia preziosa. Eppure, se la canna si consolidasse nella sola posizione eretta, alla prima forte ventata finirebbe spezzata.
Il bisogno di pensare di Mancuso, come già allude il titolo, vuole disincantare il pensiero dall’incantesimo di una sua presunta onnipotenza e ci riconduce a percorrere il sentiero, a volte piano, altre volte irto, della fatica di pensare. Pitagora, quando un discepolo osò chiamarlo Sapienza – Sophia, reagì affermando di essere solo un Amico della Sapienza – Filosophos. Il pensiero ha una gravidanza che lo precede e da cui viene partorito, quindi una crescita, una età adulta e quindi un eccedere oltre nell’estasi della fede. Nella trattazione di Mancuso un posto d’onore è riservato alla ragione e alla sua professionale qualità che è la razionalità. “La ragione è l’uso argomentato dell’intelligenza e della volontà, nonché il controllo dei sentimenti” (p. 81). Ma attorno al posto d’onore stanno tanti altri posti, in prima o seconda fila; tuttavia anche la seconda fila è necessaria per qualificare la prima. Sono i posti tenuti da sensazione, concetto, frase, mente, cuore, sentimento, stallo, assurdo, simmetria, asimmetria, rumore, silenzio, fede ecc. Il testo di Mancuso invoglia ad andare avanti nella vita, anche attraversando valli buie, perché il pensiero si delinea , si purifica e matura soltanto sperimentando la nobile fatica di vivere nella ricerca del bene. La vita ne è la palestra. Il bisogno di pensare è un libro prezioso in questa epoca dai giochi di borsa, in cui senza versare una goccia di sudore, per pura convenienza alleatoria, uno può guadagnare o perdere tutto. Non ce ne accorgiamo, ma stiamo vivendo un’epoca basata sul caso, in cui un po’ tutto è casual come i pantaloni blue jeans sfrusciati e strappati. Ritrovare la serietà delle cose concrete oggi è la via per trovare un nuovo entusiasmo di vivere. Ritrovare la fatica è ritrovare la gioia.
Alla fine del suo libro Mancuso parla dell’esperienza di fede che l’uomo ottiene come eccedenza del pensiero. Al riguardo cita Agostino: “Credere non è altro che pensare assentendo”, ossia la fede nasce quando l’uomo con la volontà si consacra a quanto pensa. L’idea di giustizia diventa atto di fede quando io che la penso, a essa mi consacro. Consacrarsi a un’idea è anche cessare dal solo pensare e invece mettere in pratica quanto pensato. In questa cessione può anche nascondersi il germe del fideismo e, perché no, anche del fondamentalismo. Quello che trovo non sufficientemente trattato nel libro di Mancuso – forse lo sarà nel prossimo – è la modalità impersonale del pensiero, ossia: il lasciarsi pensare. Ci sono accenni all’impersonalità del pensiero, ma rimane l’impressione che la canna pensante piegata dal vento del non pensiero possa rialzarsi attraverso il suo raziocinare, mentre in natura la canna abbattuta, balza diritta di una forza spontanea e non soltanto riflessa. Siamo noi i primi che pensiamo? Oppure siamo dentro a un pensiero che ci invita e ci stimola a pensare? Qui senz’altro c’è un sentire differente tra esseri umani dell’oriente e dell’occidente. Tra il monaco seduto in meditazione e il Penseur di Rodin passa una grande differenza. Oggi ci rendimo sempre più conto che anche la natura è pensiero. Edith Stein, la filosofa della fenomonologia, ebbe il sentore che c’è il sentiero della fede quando nel duomo di Francoforte osservò una donna popolana che, depose la sporta della spesa, si inginocchiò ed entro in un “colloquio intimo”.
A tutti l’invito a leggere Il bisogno di pensare.
Generare Dio di Cacciari fu una vera sorpresa. Dopo le letture precedenti avvertivo il bisogno di leggere proprio quanto ho poi scoperto in questo libretto. Anni fa, seduti su una panchina della stazione Tiburtina di Roma, ad attendere lo stesso treno della notte che era in ritardo di 3 ore si trovarono solo due viaggiatori: il sttoscritto e Massimo Cacciari. Abbiamo riempito il tempo d’attesa con vari discorsi. Cacciari si disse molto interessato al sentire orientale, benché nessuno dubiti della sua ricerca di filosofo occidentale. In Generare Dio Cacciari descrive la vocazione esistenziale di Maria come quella di umanizzare Dio, vocazione che coinvolge tutta la storia umana. La luce divina “… entra in Maria come il silenzio nel discorso, come la pausa nel canto”, “Lo spirito tonante del Signore è entrato in lei e si è fatto silenzio”. In Maria Dio si manifesta come “ombra illuminante”. “Le cose sono all’ombra l’una dell’altra, si danno ombra reciprocamente col loro stesso esserci. La luce s’incarna nell’ombra”, “Se non fosse quest’ombra a illuminare, la pura luce inghiottirebbe ogni apparire” (tutte queste citazioni in pp. 37-39).
E’ la fede l’ombra e il pensiero la luce? Oppure il contrario? Oppure l’un l’altra sono reciprocamente luce e ombra? Nel mezzo sta ciascuno di noi.
p. Luciano
foto personale (Kumamoto, Giappone)
aggiungo il periodo dal quale è tolto il titolo di questa lettera:
“L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E’ in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale”. (Blaise Pascal, I pensieri).
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