死ぬ小鳥の眼の涙
“Le lacrime di un uccello che muore”, letteralmente “Le lacrime degli occhi di un uccello che muore – 死ぬ小鳥の眼の涙” è una delle immagini con cui lo scrittore Endō Shūsaku (1955-96) (1) narra l’emozione del suo incontro con Dio, il Dio che “… mai nessuno ha visto” (Gv 1,18). Due anni fa intrapresi la traduzione in italiano di una raccolta delle riflessioni che Endō Shūsaku aveva disseminato nei suoi libri circa il suo incontro con Dio. La raccolta fu pubblicata con il titolo “Kami to Watashi” (神と私) – letteralmente “Dio e io”. Ne intrapresi la traduzione in italiano, convinto fosse utile non solo a me missionario, ma anche alle tante persone che mi hanno confidato il loro smarrimento in questo oggi dell’incrocio di tante vie. Endō Shūsaku, seguendo la scelta della madre, ricevette il battesimo a 13 anni. Ma a guidarlo a immergersi in Dio furono i tanti dubbi che costellarono la sua ricerca umana e letteraria. I giapponesi, quelli dall’anima shintoista o buddhista come quelli che oggi hanno sostituito gli dei e il Buddha con la tecnologia, amano la lettura delle sue opere, perché nel conflitto tra “follia” ed “eroicità” che attraversa tutte le opere di Endō, i giapponesi ritrovano se stessi. L’imperatore Hirohito nel 1995 gli ha tributato la più alta onorificenza letteraria, detta “文化勲章 – Bunka Kunshō”, letteralmente: “Opera culturale dall’aroma di incenso”.
Nella diaspora dopo aver lasciato la sede Vangelo e Zen di Desio, tralasciai la traduzione delle riflessioni di Endō Shūsaku sul suo incontro con Dio, ma giovedì 25 ottobre scorso una telefonata mi ha spronato a riprenderla e portarla a termine. La telefonata arrivava da uno dei teologi italiani più stimati da me e da tanti. “Sono don Carlo Molari e sto leggendo “Passi” a pagina 139, dove tu citi una frase di Endō Shūsaku. Quella frase mi ha molto colpito. Io vi ho impiegato 90 anni di ricerca teologica per arrivare a capire che Dio non ci viene incontro da davanti, ma ci spinge da dietro. A 90 anni posso vedere la mia vita come l’aquila vede la valle dal suo volo, e accorgermi che furono proprio le curve del sentiero della mia vita a condurmi qui. Oggi, con Endō Shūsaku, riconosco che Dio mi parla indirettamente, e non direttamente…“. Per la sorpresa della telefonata da parte di uno dei teologi che più stimo, e per il trambusto all’interno dell’autobus 94 che mi conduceva dalla Chiesa di San Babila alla sede di “La stella del mattino – cammino religioso Vangelo e Zen”, potrei aver dimenticato le parole precise di don Carlo e averle sostituite da altre che però hanno lo stesso significato, ma quelle riportate in grassetto sono proprio sue. E sono proprio anche mie. Riprenderò e porterò a termine la traduzione delle riflessioni di Endō Shūsaku sul suo incontro con Dio.
Il pensiero di Endō Shūsaku riportato a pag. 139-40 di “Passi” è il seguente: “Dio non è un ente che esiste a sé, ma è energia all’opera dentro di noi. Io ho raggiunto questa comprensione a una certa età, quando fui in grado di osservare la traccia della mia vita come un uccello dall’alto vede la distensione della valle. Ho compreso che Dio non agisce in me direttamente, ma indirettamente. Il suo sguardo mi coglie attraverso gli occhi di un amico, di una persona che incontro, oppure da cui mi separo, perfino attraverso gli occhi bagnati di un cane o di quelli di un uccello che muore>> (da Rakudai bōzu no rirekisho, <Il curriculum di uno studente bocciato>).
Per i giapponesi che ricevano questa lettera riporto il testo originale:
<眼にみえぬ働き――それを神といってもいい。なぜなら神とは 普通に言われている ように存在というよりはむしろその働きを我々に感じさせるものだからだ。それに気づ いたのは自分の人 生をいささか俯瞰できる年齢になってからである。神は直接的ではな
く間接的に、友人や邂逅や離別や、いや犬のぬれた眼や 死んでいく小鳥の眼を通して働 いていたことがやっと私にもわかったのだ。> 『落第坊主の履歴書』(エッセイ)
Oggi, nella casa saveriana di San Pietro in vincoli, Ravenna, viene celebrato il funerale di Eugenio Melandri, sacerdote incardinato nella diocesi di Bologna dal nuovo arcivescovo card. Zuppi. Saveriano fino al 1989 quando fu eletto parlamentare europeo di Democrazia Proletaria, quindi automaticamente sospeso dalla funzione sacerdotale, rimase per me, e credo per tutti i missionari saveriani, un caro confratello. Il 6 agosto (2019) gli feci visita con altri due confratelli in un ospedale di Forlì. “Le settimane sante più belle le ho passate con voi (tre missionari saveriani compreso il sottoscritto) a Mazara del Vallo”, mi disse subito. Negli anni ‘90 l’onorevole parlamentare europeo Eugenio Melandri lasciava il suo appartamento a Strasburgo e con il treno espresso della notte arrivava in Sicilia. Noi non avevamo nemmeno una delle 5 camere che lo stato italiano gli metteva a disposizione per i suoi ospiti a Strasburgo, ma solo uno sgabuzzino dove tenevamo le scope e i bauli, e che liberavamo soltanto quando arrivava un giovane francescano francese per dare una mano all’accoglienza e all’attività di integrazione che svolgevamo per i nordafricani e, appunto, quando arrivava l’onorevole parlamentare di Democrazia Proletaria Eugenio Melandri. Un giorno ci invitò: “Ho 5 camere per 5 ospiti, se venite a Strasburgo mi sgravate un po’ la coscienza”. Ovviamente non potemmo accettare. Prima di lasciare l’ospedale di Forlì gli dissi: “Eugenio, ritorna! Ti aspettiamo”. “Non sono mai uscito. Piuttosto salutami tutti quelli che vengono a fare Zazen e ascoltare il Vangelo. Sono un fedele lettore del vostro sito. La malattia mi tiene a letto e ho tutto il tempo per seguire quello che gli altri fanno”.
Leggo in internet i titoli dei vari giornali che annunciano la sua morte. “Il prete rosso”, “Il prete scomunicato, sospeso a divinis”… Chi può mai capire un prete missionario, o anche tutta la storia della Chiesa, se si ferma a guardare solo l’aspetto esteriore?. Si potrebbe capire il comportamento di una madre che fa arrestare il figlio, nella speranza che in carcere possa finalmente arrivare a capire? Al Meeting di Rimini mi fu chiesto: “Come mai i cristiani giapponesi durante i 250 anni di persecuzione, senza il sostegno di alcun sacerdote, nonostante che qualche missionario avesse abiurato per evitare la morte, come mai questi cristiani giapponesi hanno saputo credere fino al martirio? Io aggiungo anche: Come mai, loro, giapponesi che secondo la cultura confuciana sono così rispettosi e ligi verso i governanti? Dalla mia esperienza personale deduco che i pescatori e i contadini di Nagasaki hanno comunicato con il cuore di Cristo, non attraverso il perfetto giapponese e i bei discorsi dei missionari. Di fatto i primi missionari parlavano un giapponese incomprensibile, goffo; ma da chi avrebbero potuto imparare il giapponese perfetto che veniva parlato nel palazzo imperiale di Kyoto?. Al contrario i pescatori e i contadini di Nagasaki intuirono il Vangelo dall’umile silenzio in cui si consumava lo sforzo dei missionari che per dire ciò che non riuscivano a dire. Così lo Spirito soffiava nel vuoto lasciato dalle parole incapaci di trasmettere. Forse quel “vuoto” è lo stesso dello Zen! E’ il vuoto del cielo dal quale l’aquila vede la valle! E’ il vuoto in cui lo Spirito può agire da signore.
Grazie, padre-don Eugenio Melandri, “parlamentare europeo”, “scomunicato”, “sospeso a divinis”…
“Ho compreso che Dio non agisce in me direttamente, ma indirettamente. Il suo sguardo mi coglie attraverso gli occhi di un amico, di una persona che incontro, oppure da cui mi separo, perfino attraverso gli occhi bagnati di un cane o di quelli di un uccello che muore”.
p. Luciano (uno dei tuoi confratelli)
(1) In italiano sono disponibili alcune opere di Endō Shūsaku: “Il silenzio” che fu trama del film “Silence” di Scrosese, “Il samurai”, “Lo scandalo” ecc. presso Rusconi; “Il mio Gesù” presso Queriniana, e altri presso altre editrici. La nostra biblioteca ha una trentina di opere di Endō
Shūsaku in lingua originale giapponese e tutte le sue opere tradotte in italiano. Segnalo “Il giapponese di Varsavia” tradotto dal saveriano Tiziano Tosolini. A vostra disposizione.
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