Nell’attesa imminente del nuovo anno, ai compagni di viaggio di cui la mia povera memoria ricorda il nome e ai molti ai cui silenziosamente ci ha ha legati l’intreccio della vita, e ovviamente a me stesso, nella preghiera auguro per il nuovo anno il preziosissimo dono-virtù della mitezza.
L’invisibile germe covid 19 ha infranto le nostre sicurezze e nella frantumazione tutti abbiamo riportato ferite. Ferita la nostra robustezza fisica e psichica, ferite le nostre basi economiche, feriti i nostri rapporti di amicizia e di lavoro, ferite le nostre consuetudinarie sicurezze religiose. In questo momento avvertiamo la necessità dell’olio che lenisce e guarisce le ferite, e che ridona l’originario vigore reso ancora più forte e più mite dalle prove.
La goccia d’olio spalmata sul legno ne evidenzia le venature, la specifica funzionalità, e con una patina lucida protegge la natura del legno che ha messo in evidenza. La goccia d’olio della mitezza nella vita umana mette in evidenza il cuore delle persone, il valore scientifico, culturale, religioso, e riveste questi valori della patina lucida del loro limite. L’esperienza del proprio valore è contemporaneamente l’esperienza del proprio limite.
La prima notte serena dell’anno nuovo sostiamo alquanto a contemplare il cielo stellato. La scienza ci dice che quegli astri luminosi evolvono da miliardi di anni. Tutto procedeva secondo il palpito vigoroso della natura, mentre noi uomini abitanti del pianeta Terra non eravamo. Così per miliardi di anni! L’infinitesimale limite dà evidenzia alla nostra entità e, per contrasto, ci fa percepire la nostra unicità e dignità. Ci fa ergere il capo e chinarlo assieme.
Norbeto Bobbio in “Elogio della mitezza” scrive che l’uomo mite, che contemporaneamente china ed erge il capo, “attraversa il fuoco senza bruciarsi, le tempeste senza alterarsi, mantenendo la propria misura, la propria compostezza, la propria disponibilità”.
La virtù della mitezza è di chi, contemplando le stelle, non deve aggiungere né togliere nulla a se stesso né al cielo stellato; ma, essere infinitesimale nel tempo e nello spazio, sperimentare l’onore di esistere come uomo su un piccolo pianeta nell’immenso cosmo.
Norberto Bobbio nel suddetto saggio riconosce che il lemma italiano “mitezza” è intraducibile nelle altre lingue del mondo, senza perdere una qualche sfumatura. Forse anche il suo concetto è inafferrabile nelle sfumature da chi non è nato e cresciuto sulle colline appenniniche della nostra penisola. Paolo Rumiz in “Il filo infinito” evoca l’avventura scientifico-culturale-spirituale dei monaci benedettini del Medioevo, vero vagito della nascente anima anima europea. Al termine del suo saggio riconosce che a sua volta il vagito dell’anima benedettina non poteva che echeggiare dalle colline appenniniche dell’Italia centrale.
A tutti l’augurio-preghiera del dono-virtù che è la mitezza. Un invito: la prima notte serena del nuovo anno sostiamo in contemplazione del cielo stellato, contemporaneamente chinando ed erigendo il capo. Quindi dicendo un nome: il proprio, unico e infinitesimale, nome personale. Le stelle dai miliardi di anni ne avvertiranno un po’ d’invidia, perché a loro non è dato dire alcun nome. Reciprocamente chinando ed erigendo il capo. Auguri di un nuovo anno nel dono-virtù della mitezza.
p. Luciano
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