I soldati ucraini, dopo aver combattuto arduamente per difendere l’indipendenza della patria, si consegnano ai soldati invasori. Questi, dal bunker dell’acciaieria Azvostal, su barelle, li trasferiscono in zona occupata dall’armata russa, quindi dominata dall’esercito nemico. Dal volto muto e affranto dei soldati ucraini arresi ai loro nemici vibra potente un urlo, un urlo silenzioso
che trafigge la coscienza umana. Il volto dei soldati arresi e quello dei barellieri vincitori si incontrano. Le posizioni sono opposte, sui volti lo stesso pallore, la stessa impassibilità. La eco dell’urlo da volto a volto ne accresce la potenza. E’ un urlo silenzioso contro l’ipocrisia. L’ipocrisia è l’attività dell’intelletto che annebbia il dato reale dentro il sovrappiù di ragionamenti contagiati da avidità di interessi e da miope parzialità. Il dato reale passa in second’ordine o scompare del tutto. Allora la verbosità dell’ipocrisia celebra il suo trionfo.
Focalizzo i volti dei soldati ucraini, perché sono la parte invasa, ma sul loro volto il ritorno della eco dei volti dei soldati nemici barellieri. Sotto la pesantezza efferata della prepotenza del sistema, anche dal volto dei soldati barellieri vincitori il bisogno di urlare.
Quei volti urlano la loro reale identità. Sono uomini, padri di bambini, sposi o fidanzati, lavoratori o studenti, che si sono riconosciuti nell’ardore di difendere l’indipendenza nazionale dalla massificazione schiavizzante. Li abbiamo visti nel bunker cantare il motivo “Stefania” dell’orchestra Kalush della vittoria ucraina all’Eurovision di Torino. Sono uomini e giovani che desiderano vivere ed amare ed essere amati, percorrendo passo dopo passo la strada della vita quotidiana. Vivere! Amare! Essere amati!
L’ipocrisia è prodotto intellettuale. Gli animali non la conoscono. L’ipocrisia è l’intrigo del sovrappiù creato dall’avidità della mente. Le religioni ne sono perennemente tentate; e vi si arrendono. La grande ipocrisia religiosa è quella di ergersi come il punto di arrivo del pensiero, del cui deposito presumono possedere le chiavi. Titoli molto avvincenti sono a portata di mano: rivelazione, miracoli, illuminazione, benessere ecc. Domenica 15 maggio papa Francesco ha proclamato la santità di dieci cristiani. Fra loro 7 fondatori o fondatrici di congregazioni religiose.
Quanta santità! Verrebbe da esclamare. Ma anche qui la tentazione è pronta a sussurrare che, dichiarato santo/a chi ha fondato l’istituto, si è giunti alla meta, mentre di fatto non rimane che continuare a percorrere l’umile via quotidiana. Una decina delle Suore delle Poverelle, che ora hanno avuto il loro fondatore dichiarato santo, negli anni 80 morirono una dopo l’altra nell’assistere i contagiati di Ebola nella Repubblica del Congo. La superiora generale da Bergamo accorse sul posto e reclamò, come superiora generale, il diritto di prestare il servizio in prima linea, ordinando alle giovani suore congolesi di custodire la loro immunità per i tanti servizi che la vita chiederà loro nel futuro. La madre generale morì dopo pochi giorni di servizio. In silenzio.
L’enfatizzare i santi dichiarati santi può partorire una deviazione dalla santità reale che è l’umile servizio quotidiano che non eleva polvere, nemmeno quella dorata della santità. Tra i dieci nuovi santi il francese San Charles de Foucauld, l’olandese San Titus Brandsama e il laico indiano San Devasahayan. A tutti è nota la silenziosa testimonianza di Charles de Foucauld nel deserto algerino. Invito a conoscere, tramite wikipedia, quelle dell’olandese Titus Brandsama, morì a Dachau, e quella dell’indiano Devasahayan, un soldato che fu ucciso da altri soldati perché non consegnò la sua libertà al sistema dittatoriale.
Questa domenica mi è data l’occasione di celebrare l’Eucaristia in una chiesa romanica del 1100 circa, fiancheggiata dal battistero. Questo, il battistero, affascina. E’ costruito con le pietre raccolte dai torrenti che scorrono nelle valli pre-alpine. A raccoglierle i contadini e i mercanti del posto, a trasformarle in tempio sacro gli artigiani del posto. Ogni pietra, rispettata nella sua forma, collocata al suo posto. Il risultato un tempio che celebra l’armonia, in intima comunione con la montagna, madre delle pietre…
Più volte viene detto che l’Occidente ha smarrito la via della pace. In realtà, non solo l’Occidente. La Russia, che invade l’Ucraina, e i grandi paesi suoi sostenitori sono ad Oriente. Questa contrapposizione Oriente – Occidente è pure costruita dalla mente. Di fatto fu in uno dei Paesi più significativi dell’Occidente che fu proclamata l’egemonia della mente sulla realtà, sulla natura.
Quell’egemonia fu detta “Illuminismo”, secondo cui la mente reclama di possedere la misura esatta e completa delle cose. Ossia, le cose sono debitrici alla mente umana che conosce e detiene il loro senso originario e in eventuali conflitti la mente ne è automaticamente vincitrice.
L’illuminismo ha inaridito la conoscenza. Ne ha dissanguata la linfa mistica. Ha ucciso il mito. La natura è stata ridotta a natura morta. Anche l’uomo è ridotto a nemico o ad amico, a seconda della propria mente. In guerra l’uccisione del soldato nemico è elevata a merito militare. Nel mentre una giovane vedova e alcuni bambini piangono.
Voglio soffermarmi davanti al battistero di Galliano e chiedere a quelle pietre, a una a una, di parlarmi delle mani che le hanno raccolte e collocate lì. Dopo avermi parlato di quelle mani callose, la pietra nel suo silenzio mi avverte che quello è solo l’ultimo istante della sua storia di milioni e milioni di anni. La mente bisbiglia: Amen!
p. Luciano
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