introduzione di p. Luciano alla Tre Giorni Vangelo e Zen estate 2022 (disponibile in PDF)
Il mio più cordiale BENVENUTO a tutti voi che avete corrisposto all’invito a convenire alla Tre Giorni Vangelo e Zen, estate 2022. Praticheremo assieme il silenzio dello Zazen, l’ascolto del Vangelo, la preghiera, l’eucaristia; quindi condivideremo le nostre esperienze e riflessioni. Staremo in ascolto del riverbero della dignità umana di cui, nell’agitazione del vivere consuetudinario, è difficile udire la eco. Ovviamente, saranno tre giorni di fraterno conforto.
Al nostro vivere quotidiano abbiamo accostato una pratica che denominiamo: “Vangelo e Zen”. Riconosciamo il fondamentale beneficio che ci viene dal Vangelo come pure dallo Zen. Senza la familiarità con il Vangelo, che ci accompagna fin dall’infanzia, e senza l’amicizia con la pratica dello Zazen, essenza dello Zen, che abbiamo incontrato a un certo punto della nostra vita, oggi noi non saremmo qui e nemmeno saremmo quello che siamo. Zen è la corrente religiosa, Zazen ne è la pratica che la applica alla vita; da qui in poi io ricorrerò soprattutto al termine Zazen perché immediatamente ci richiama la posizione del silenzio che ascolta il silenzio, tuttavia sentendovi riverberare la vastità dello Zen come scuola religiosa.
Il Vangelo e lo Zazen hanno parlato alla nostra vita, perché nel profondo interiore della nostra vita vibra un grido originario che reclama il silenzio dello Zazen e l’ascolto della voce del Vangelo. Il monaco poeta Ryōkan, detto anche il Francesco d’Assisi dello Zen, scrive: “Quando il fiore si apre, viene la farfalla; quando viene la farfalla, il fiore si apre” 1 Gesù afferma: “Nessuno viene a me se non lo attira il Padre (Gv 6,44). Il Padre: con questo familiare appellativo noi evochiamo il fondo del fondo che è da prima della nostra esistenza, da cui la nostra esistenza è sgorgata e continua a sgorgare nuova a se stessa. Lo Zazen e il Vangelo erano intimi alla nostra radice da prima che la storia registrasse i loro santi nomi. Quanto essi indicano, da sempre è l’anima del nostro essere. Siamo silenzio, siamo ascolto, siamo annuncio. Noi cerchiamo ciò che siamo e ciò che siamo ci viene incontro parlandoci nel silenzio del nostro ascolto. La pratica dello Zazen e dell’ascolto del Vangelo è come un angolo riservato della vita in cui ciò che noi cerchiamo e ciò che da noi è cercato si incontrano in un intimo colloquio. Ad appuntamento terminato, non rimane nulla da stringere tra le mani; tuttavia la vela della nostra barchetta e il soffio del vento s’accordano a continuare la traversata.
Le condizioni storiche in cui viviamo possono tremendamente ostacolare all’uomo l’esperienza della sua radice, aggredendolo con uno tsunami di appelli che lo bloccano sul palcoscenico dell’esteriorità, del successo, del profitto, dei conflitti. Il comunicare con la propria anima originaria fu sempre un cammino arduo, ma oggi la valanga di nozioni già confezionate che viene riversata in ogni ambiente della nostra vita quotidiana rende maggiormente arduo il ritorno alla radice di se stesso. Il cammino Vangelo e Zazen, pur nella sua infinitesimale consistenza, coglie appieno il disagio odierno e, pur nella sua infinitesimale consistenza, all’uomo d’oggi offre l’indicazione preziosa di un sentiero semplice e concreto, percorrendo il quale ritrovare il vigore originario. E’ pur sempre il sentiero della vita quotidiana con tutti i suoi impegni; ma alcune soste, collocate come un sigillo all’alba e al tramonto delle giornate, permettono di ritrovare il ritmo originario del respiro e di asciugare la fronte dal sudore. Sono soste di silenzio nell’ascolto del silenzio. La sorella acqua ne è testimone: effettuate le sue tante funzioni, ritorna limpida e pura sostando silenziosa e nascosta nel ventre della montagna. Quindi nuovamente scende a valle a svolgere le sue funzioni. Il silenzio originario non ristagna in se stesso, perché è silenzio in ascolto, è silenzio aperto, è silenzio che accoglie il sacrificio che la vita ogni giorno chiede. Noi, nascosti nel grembo del silenzio, silenziosamente ascoltiamo. Il nuovo che riverbera dal completo silenzio, senza alcuna manipolazione, è la eco della nostra anima originaria. E’ il Vangelo. I primi cristiani lo riconobbero in quei quattro testi, lasciandoselo sussurrare dal fondo della loro anima.
Scrive il maestro dello Zen Eihei Dōgen: “Questo esistere senza aggiunte, poiché è rivolgere la propria luce direttamente verso di sé, cessando le abitudini stereotipate e le costruzioni mentali, è coincidere perfettamente con la vita nel suo aspetto fondamentale. .. Per questo ogni cosa canta la verità senza aggiungere nulla” 2 Leggiamo ora il primo appello di Gesù: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Convertiamo lo sguardo e il regno di Dio ci viene incontro. Simone Weil scrisse: “Una delle verità capitali del cristianesimo, oggi particolarmente misconosciuta da tutti, sta nel fatto che è lo sguardo a salvare” – “La religione non consiste in alcun altra cosa che in uno sguardo”.3 A seguire voglio presentare alcuni ambiti della vita quotidiana che, tramite la sosta quotidiana nel silenzio e nell’ascolto, tramite un nuovo sguardo, si purificano e si rigenerano vigorosi. Il primo ambito che prendo in considerazione è quello della conoscenza.
La conoscenza: il silenzio e l’ascolto “Considerate la vostra semenza: – fatti non foste a viver come bruti – ma per seguir virtute e canoscenza” (Inf 26, 118-20). Il conoscere è una delle attività che maggiormente ci onora e regala brio alla nostra vita. Noi diciamo di aver conosciuto una persona, o una cosa, o una situazione quando, attraverso l’osservazione, ne ricaviamo una salda impressione. L’impressione rilevata è vera e concreta, perché si genera tra un io che concretamente osserva e un tu che concretamente è osservato. Tuttavia, se tale impressione non è battezzata nel silenzio, si fossilizza nella presunzione che l’impressione ottenuta sia onnicomprensiva del conosciuto. Così la conoscenza diviene possesso, quindi dominio, quindi giudizio unilaterale. Così la vivace impressione che dà inizio al processo conoscitivo, mancando il silenzio e l’ascolto che la purificano e la rigenerano, si fossilizza in idea astratta avulsa dal tempo e dallo spazio che rigira su se stessa come quando la puntina di un grammofono rimane incagliata nello stesso solco. La policromia dell’impressione scade nel monocolore dell’ideologia. Invece, quando la conoscenza si offre al battesimo del silenzio, nel silenzio coglie il limite intrinseco ad ogni attività conoscitiva. Il limite che ogni ideologia detesta come impedimento, nel silenzio e nell’ascolto si rivela invece amichevole e nobile, semplicemente perché è reale. Infatti è reale che il conoscere si dà soltanto tra un io che osserva abitando il limite del tempo e del luogo, e un tu conosciuto nel suo concreto limite temporale e fisico. Battezzata nel silenzio, la conoscenza conosce il pudore. Questo, il pudore, la preserva dalla boria dell’ideologia, e al contrario la richiama all’attenzione, al rispetto, alla riflessione perché, nel tempo che scorre, scorrono anche l’io che conosce e il tu che è conosciuto.
Ogni tu conosciuto, nel silenzio meditativo dischiude alla correlazione universale. Un grande beneficio che l’io conoscitore ne ottiene è quello di percepire che il soggetto che conosce è proprio lui stesso, lui stesso nel suo limite concreto. Dall’abitacolo del proprio limite percepisce se stesso gettato nell’immensità del tutto. La percezione dell’io concreto è la salvaguardia dal piombare nella nuvolosità delle depressioni, come pure dall’evaporare nell’evanescenza. Il grande regalo della pratica dello Zazen e dell’ascolto del Vangelo è l’esperienza umile e concreta di se stesso. Qui, ora, sto proprio io.
La volontà: il silenzio e l’ascolto
Un altro ambito in cui la pratica dello Zazen e dell’ascolto del Vangelo purifica e rigenera è quello della volontà. Il dittatore, per ostentare potenza, bandisce dal suo processo volitivo il silenzio e l’ascolto. “La parola impossibile non è nel mio vocabolario” (Napoleone). Le volontà non battezzate nel silenzio hanno disseminato stragi e catastrofi. La guerra in corso ne è una prova, ma ugualmente lo è l’avidità del progresso che ha demolito le foreste, inquinato i mari, perturbato il ritmo delle stagioni. La volontà che si offre al battesimo del silenzio e dell’ascolto prende dimoranel limite concreto delle cose e, ascoltando il limite, si purifica dalla brama della prepotenza. La volontà dell’io che vuole e la volontà delle cose volute si confrontano, si levigano reciprocamente, come incrociando i loro sguardi. Lo scultore Michelangelo e il masso di marmo crearono il Mosè.
La volontà battezzata nel silenzio e nell’ascolto conosce la misura delle cose e tende a rispettarla. E’ una volontà libera dal presumere l’esclusiva del volere. La volontà ostentata dall’io del dittatore è rigida e massificante: suscita terrore. La volontà che si offre al battesimo del silenzio e dell’ascolto è amabile e diffonde amabilità. Avverte che l’ambiente circostante, a modo suo ma assieme, concorre a volere quello che la volontà vuole: un concerto di volontà dai toni diversi che dialogano e si accordano. La sorpresa che allieta la volontà aperta all’accordo è il fatto che, ad opera compiuta, il frutto maturato comporta sempre un di più in profondità e in commossa bellezza di quanto l’io aveva voluto. E’ il di più che è portato a maturazione dal concorso delle volontà circostanti. Il romanziere Endō Shūsaku scrive che, rileggendo le pagine che a fatica aveva scritto, si meravigliava del pensiero che da quella fatica aveva preso forma. Gli sembrava scritto da qualcun altro, non certamente solo da se stesso. Credo che tutti noi abbiamo avuto esperienze simili. Sì, perché la silenziosa fatica di dialogare con la realtà, e non solo l’estro, è co-autrice dell’opera d’arte. Non solo il genio dell’uomo, ma anche il concorso della natura, dell’universo, del soffio del grande Spirito concepisce e co-genera l’arte. Il Mosè di Michelangelo è anche opera delle Alpi Apuane, degli scavatori, dei buoi che hanno trainato il carro ecc. Michelangelo, sorpreso, colpì la statua gridando: “Parla”.
La via dello spirito: il silenzio e l’ascolto
L’ultimo ambito che voglio prendere in considerazione è quello spirituale. Spirituale è per eccellenza l’aggettivo del flusso della vita, religioso invece riguarda l’assetto di elementi che sono al servizio del cammino spirituale. L’ambito spirituale è quello in cui noi superiamo la misura con cui misuriamo noi stessi e, in un certo senso, diventiamo folli al nostro stesso buon senso. Per dire tale esperienza, non trovando nel nostro vocabolario che aggettivi secondo la nostra misura, ricorriamo ad aggettivi che sfuggono alla nostra misurazione. Possiamo balbettare: trascendente, in quanto sono trascese le misure del cosiddetto buon senso comune. Lo spirituale è folle, ma il flusso di questa follia non si origina da chissà dove, ma dal fondo stesso della nostra umanità, quando accade qualcosa che sgretola il castello del nostro acquisito buon senso. Generalmente a introdurre nell’esperienza dello spirituale è un senso di insoddisfazione che all’improvviso invade il cammino di vita che noi avevamo ritenuto ormai al sicuro grazie alla pratica dello Zazen e del Vangelo. Allora, a noi si evidenzia che il silenzio e l’ascolto hanno un fondo più profondo del silenzio e dell’ascolto della semplice pratica correttamente formale. La regia del proprio io religioso ma non spirituale ci aveva impedito di comunicare con la profondità del silenzio e dell’ascolto che si inabissa oltre le misurazioni gestite dall’io religioso. Ora esplode la follia di voler essere liberi anche dal proprio io che, pur con le sue buone intenzioni, ci ha trattenuti sazi di una libertà e di una salvezza che si commisuravano dentro le misure gestite dall’io stesso. All’improvviso esplode la follia di sentirsi liberi anche dall’appartenenza religiosa, dai dogma dei testi sacri, dai riti che assicurano benedizioni. Questi sono come alveo che l’acqua sorgiva stessa si apre scorrendo giù nella valle del tempo, ma ora si beve direttamente alla sorgente. “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chi è nato dallo spirito” (Gv 3,8). Inizia un silenzio nuovo: il silenzio del sapere di non sapere, gustando di risiedere nell’immensità del non sapere, come la propria ultima dimora. Ora si dilegua la voglia di diventare santo e illuminato; in cambio si coglie la santità dell’immanenza, dell’imperfezione, della condizione di peccatore che lungo il pellegrinaggio della conversione dischiude in cielo, ossia nell’eternità, una carica di gioia più grande che quella dei novantanove giusti che, in-toccati dalla condizione del peccato, non hanno bisogno di alcuna penitenza. Al soffio del vento che viene e va dove non si sa, la vita si fa lieve, eppure intensa. Appartenenza, testi sacri, riti ecc. sono ancora tutti qui; ma lo sguardo è nuovo. “L’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1 Cor 2,15).
La presenza alla Tre Giorni di una decina di giovani mi sprona ad evocare il sacrificio di due giovani laici italiani dei nostri tempi: Salvo d’Acquisto e Rosario Livatino. Senz’altro a tutti è noto il loro nobile e spontaneo sacrificio della propria vita affinché fosse salva la vita altrui. Il 23nne carabiniere Salvo si confessò colpevole dell’assassinio di un militare tedesco, assassinio che non aveva compiuto, affinché i contadini caduti nella letale retata tedesca potessero ritornare sani e salvi alle loro famiglie, ai loro animali domestici e ai loro campi. Il trentenne magistrato Rosario Livatino rifiutò la scorta affinché, in caso di agguato alla sua persona, non dovessero morire anche gli uomini della scorta. Infatti morì solo sotto la raffica della violenza mafiosa sul brullo pendio di una collina alle porte di Agrigento. Quel 21 settembre 1990 anch’io mi trovavo ad Agrigento e ricordo l’emozione della gente al giungere della notizia. Oggi, Salvo d’Acquisto e Rosario Livatino sono ufficialmente venerati nella Chiesa Cattolica. Salvo, confessando un delitto che non aveva compiuto, aveva mentito e disobbedito ai dieci comandamenti. Rosario non era ancora cresimato a 37 anni, ma vi si stava preparando. Ma “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chi è nato dallo spirito” (Gv 3,8).
Quando il sacrificio, che arriva non si sa da dove, è accolto come il proprio contributo per la purificazione e la rigenerazione del flusso della vita universale di cui ciascuno di noi è una goccia, l’uomo conosce la pace. Non c’è più alcun io che reclama un proprio paradiso individuale.
Concludo evocando Rosanna Bai che molti ricordano. Scalatrice dell’Himalaya, il suo atletico fisico fu distrutto a 82 anni da un invisibile filamento di amianto. Prima di morire al sottoscritto bisbigliò: “p. Luciano, è meglio che quel filamento l’abbia respirato io, altrimenti poteva respirarlo un bambino”. Morì serena, consegnandosi al sacrificio che salvava un bambino.
Il silenzio e l’ascolto sono fondamento per il vivere la nostra dignità di persone umane, sia individualmente sia socialmente. Orbene, siamo qui per farci coraggio gli uni gli altri nel perseguire tale cammino.
Poniamoci alcuni quesiti fondamentali:
1) Come intendo vivere il silenzio e l’ascolto nella mia vita individuale?
2) Come posso condividere con amici e conoscenti il silenzio e l’ascolto che anima il vivere sociale di giustizia, di rispetto, di armonia, di creatività?
3) Ho mai pensato a un qualche gesto o a una qualche iniziativa che vorrei mettere in atto come testimonianza a me stesso e alla società che, praticando il silenzio e l’ascolto, il vivere individuale e sociale recupera la sua dignità originaria?
Concludo accennando all’iniziativa che personalmente tengo in cuore. Una decina d’anni fa’ presso l’università Bicocca ascoltai una donna francese che descrisse la sua iniziativa di promuovere l’avvicinamento umano tra chi ha subito oltraggio e chi l’ha procurato. Li invitava ad ascoltarsi in silenzio. Non poche volte, asserì, le due parti si riconciliarono prima che parta il processo legale. Spesso sentiamo l’espressione: “Giustizia è fatta!”, oppure “Giustizia sia fatta!”. Nel silenzio e nell’ascolto è attuabile una giustizia più radicale e più vera che si chiama: perdono – riconciliazione. Anche quando nel confessionale pronuncio: “Ti assolvo dai tuoi peccati” e la persona assolta se ne va sollevata, percepisco che vi manca qualcosa. Manca l’altra parte che dice: “Chiedo perdono”. Il silenzio e l’ascolto si erano fermati su una sola sponda. Confiderò questo mio proposito ad alcuni avvocati di cui ho stima. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 15,20).
p. Luciano
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