La stella del mattino – cammino religioso Vangelo e Zen
Milano 1 settembre 2024
Sono appena rientrato dalla convivenza Vangelo e Zen tenutasi nei giorni 29 agosto – 1 settembre ospiti del centro incontri Villa Elena, Affì, VR. Una quarantina di persone, che riconoscono in Vangelo e Zen un richiamo importante per la loro vita, all’alba e al tramonto hanno praticato lo Zazen, l’ascolto del Vangelo, la preghiera; durante le ore diurne lo studio, la riflessione comunitaria, la programmazione e tanta fraternità. Domenica 1settembre la celebrazione eucaristica. Dopo 4 giorni di digiuno di notizie dal mondo, apro il telegiornale. Sullo schermo vedo il volto di 6 giovani sorridenti, quindi odo la notizia: “In risposta all’aggressione d’Israele Hamas ha ucciso 6 giovani ostaggi”. Odo ancora: “Un diciasettenne di Paderno Dugnano ha confessato di aver ucciso il fratellino, il padre e la madre”. Odo ancora: “Tutti i vicini affermano che era una famiglia normale e serena”.
Spengo il televisore e rievoco le testimonianze ascoltate nella convivenza: “L’incanto della vita tra il niente e il tutto nella sapienza orientale” (Mauro Bergonzi, docente di religioni e filosofie dell’India), “La pratica del silenzio (Zazen) nella vita ordinaria” (Riccardo Donelli, leader Forza-Lavoro), “La vita tra obbedienza e libertà” (Maurizio Lari, attore teatrale), “C’è una buona notizia… Liberazione e libertà, la via cristiana alla pienezza umana” (Giuliano Burbello, docente scuola primaria), “Un Vangelo senza fronzoli” (Isacco Zampini, dottorando in filosofia, insieme con Daniele Bertoldo, neo papà grazie a Irene nata 7 mesi fa’).
Le testimonianze ascoltate durante la convivenza sostano in silenzio in me, e dentro di me si incontrano e si scontrano con le notizie di ciò che accade, sprigionando dubbi e sempre nuove domande. Rievoco in particolare la testimonianza offerta dai due giovani relatori, Isacco e Daniele. Hanno parlato del Vangelo di Marco, il più corto tra i 4 vangeli, e per questo considerato minoritario al confronto con gli altri 3 vangeli. Vi manca peso, si direbbe. Pensò così anche Sant’Agostino. Fu un Vangelo quasi ingombrante durante le ere in cui il cristianesimo detenne potere nella società civile, ma in questa epoca di aridità religiosa parla al cuore come un fiore che sboccia nel deserto. Ce l’hanno testimoniato i 2 giovani relatori. Il Vangelo di Marco non registra l’annunciazione dell’angelo a Maria, né la nascita a Betlemme. Parte dal grido nel deserto di un outsider, Giovanni battista. A quel grido un giovane carpentiere si mosse da Nazareth e accorse a farsi immergere nell’acqua del Giordano. “E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui (in greco: αύτόν) come una colomba e venne una voce dal cielo: <Tu sei il figlio mio diletto, in te ho posto il mio compiacimento>” (Mc 1, 10-11). Gesù era accorso al battesimo sospinto da una domanda che fremeva nella sua interiorità: Qual è la mia vocazione? Perché sono nato e ora sono qui? Emergendo dall’acqua del fiume udì la voce che il Padre rivolgeva proprio a lui, il giovane carpentiere di Nazareth: “Tu sei il figlio mio diletto…”. Nei vangeli di Matteo e di Luca, la voce dal cielo non è rivolta a Gesù, ma ai circostanti, agli altri, per additare loro Gesù, il Cristo: “Questi è il figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento” (Mt 3,17). Per Matteo e Luca il Cristo viene dal cielo, già maturato vivendo con gli angeli. Per Marco il Cristo nasce dalla terra, in un operaio trentenne che, emergendo dall’acqua dell’esistenzialità ode la voce che il Padre rivolge proprio a lui stesso.
Per ruminare nelle sue fibre umane quel “Tu sei il figlio mio diletto” udito dal cielo il giovane carpentiere cercò la solitudine del deserto ove, per 40 giorni, “tentato da satana, stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano” (Mc 1,12-13). Un susseguirsi di entusiasmi e di scoramenti. Fu la notizia dell’arresto di Giovanni, colui che l’aveva battezzato nell’acqua, ossia a ciò che accade nella storia, a farlo balzare in piedi e dire il suo Sì. “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea – la terra dove oggi infierisce il conflitto Israele – Hexbollah – proclamando il Vangelo di Dio, e diceva:<Il regno di Dio è vicino; cambiate modo di vedere e credete il Vangelo” (Mc 1,14-15). Gesù sperimentava il regno di Dio avvenire dentro di sé lungo il cammino, un cammino che non è mai un punto d’arrivo che conclude. “E’ vicino…”, diceva.
Mi sono gustato molto l’alternarsi di Daniele e Isacco, i due giovani relatori, che percorrendo il Vangelo di Marco ci hanno zoomato – verbo per me nuovo, ma famigliare ai due giovani relatori – il volto di Gesù, il suo sguardo, la sua desolazione quando il giovane ricco che gettandosi in ginocchio davanti a lui gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 10,17). Gesù reagì a quell’aggettivo buono con cui il giovane lo aveva chiamato, percependovi un qualche interesse sottinteso, un qualcosa di attaccaticcio, come sono molte preghiere sul retro dei santini. “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10,18).
I due giovani relatori ci hanno letto i tanti passaggi del Vangelo di Marco in cui Gesù si sottraeva agli elogi della folla e, a chi aveva guarito da demoni e malattie, comandava di non dirlo a nessuno. Nel Vangelo di Marco Gesù non è risposta, ma piuttosto è domanda. E’ la domanda esistenziale che gli ruminava dentro se stesso chiedendosi quale senso velassero le parole del Padre al battesimo: ”Tu sei il figlio mio diletto!”. Le domande che Gesù poneva a chi incontrava erano la eco della sua domanda interiore. “Gesù… per strada interrogava i suoi discepoli dicendo: <La gente, chi dice che io sia?…Ma voi chi dite che io sia?> Pietro gli rispose: <Tu sei il Cristo> e severamente ordinò loro di non parlare di lui ad alcuno…E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto…” (Mc 8,27-30). A Pietro, che aveva osato dissuaderlo dall’accettare la croce: “Va’ dietro a me, satana! Perché tu non parli secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33). Il cammino esistenziale vuole solitudine e silenzio per scoprire il rapporto personale che il Padre ha con ciascuno. Nella distrazione e negli attaccamenti, l’uomo conosce solo il generico di sé che tutti attorno gli schiamazzano. E’ nel battesimo del silenzio che l’uomo può udire la voce del Padre che gli sussurra: “Tu sei il mio figlio diletto…”.
Il Vangelo di Marco non descrive la risurrezione di Gesù, ma termina dicendo che le donne accorse al sepolcro vuoto, alle parole di un angelo che chiedeva loro di annunciare la risurrezione agli apostoli, queste “fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite” (Mc 16,8). I due giovani relatori ci dissero che secondo loro Marco non descrive la risurrezione di Gesù perché la reale risurrezione di Gesù è la risurrezione di ciascuno di noi, mentre pellegriniamo dietro le domande che si susseguono una dopo l’altra. Gesù non risorge in Gesù, ma Gesù risorge in Cristo. Antonio Rosmini affermò che Gesù è risorto nell’Eucaristia: in cibo e bevanda per il nostro cammino. Digiuna il brindisi del compimento della risurrezione: “In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno che lo berrò nuovo, nel regno di Dio” (Mc 14,25).
Termino questa lettera citando una considerazione del cardinal Gianfranco Ravasi presentando il Vangelo di Marco: “Gesù vuole rispondere a due domande che non piacciono a coloro che sono presi da smania di trionfo della fede, di grande manifestazione, di successo e di potenza del cristianesimo, a tutti coloro che sono posseduti da visioni teocratiche. Perché Gesù è stato per tutta la sua vita un Maestro nascosto? … Per rispondere a questo interrogativo, occorre una particolare visione della religione e della fede, e una particolare visione di Gesù che il Vangelo di Marco vuole proporre…. La risposta sta nel fatto che la forza del cristianesimo non è quella di una armata e di una forza sociopolitica visibile, ma è quella che agisce segretamente nella storia, dall’interno, come lievito e sale”. (da capitolo Il segreto messianico in “I Vangeli” di Gianfranco Ravasi, EDB) Alle para-olimpiadi di Parigi, ad ora già 29 medagli all’Italia. Che belli, quanto umani, pieni di quale gioiosa dignità i volti dei nostri atleti para-olimpionici! Ancor più belli, più umani, più dignitosi, più gioiosi che i volti dei loro amici della prima sezione delle Olimpiadi. Quelle medaglie le hanno ottenute credendo in se stessi, nel loro corpo ferito dalla sorte. Sotto il velo del non raggiungimento di alcuna medaglia, immagino quanto belli, quanto umani, pieni di quale dignità i volti degli atleti che dopo tanti sforzi sono rimasti senza alcuna medaglia. Nelle vostre mani rimaste vuote splende l’onore di aver versato tutte le forze, gratuitamente.
Un grazie ai due giovani che mi hanno introdotto a fare tesoro del Vangelo di Marco.
p. Luciano
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