di Marcello Landi – tratto dal numero 1 del periodico Interdipendenza
Effettivamente è vero: è, oggi, molto diffusa in Occidente un’idea di tolleranza fortemente individualistica.
Ma non è l’unica idea possibile di tolleranza.
Nella stessa storia dell’Occidente, infatti, troviamo due diverse idee di “tolleranza”. Una è moderna (ha origine nei secoli XVII e XVIII, prende la sua fisionomia tipica con l’Illuminismo, ed ha molto credito oggi, soprattutto all’ONU e alla UE): è un’idea di tolleranza, però, “separata dalle sue radici”!
Questa idea di “tolleranza senza le radici” è quella che sorge su fondamenti individualistici: la mia libertà, si dice, finisce dove comincia quella altrui. Ma, se è così, gli altri sono un limite: il massimo della libertà sarebbe, allora, rimanere l’unico essere umano esistente al mondo! In effetti, l’ONU e la UE molto investono in politiche denataliste, perché il presupposto è che meno siamo meglio stiamo!
Manca completamente l’interdipendenza.
La base culturale è il relativismo: non c’è niente di vero, soprattutto in campo religioso. Il triste risultato è che non rispetto nessuna idea (sono tutte false), dunque neanche la mia! Il dialogo-dibattito assume due forme fondamentali: se è disimpegnato, è una “fiera delle curiosità” (del tipo: “guarda un po’: al mondo c’è gente che la pensa anche così e così!”); altrimenti, diventa una gara a chi è più bravo in dialettica o in retorica. Alla fine, si dovrebbe avere un vincitore ed un vinto.
Anche in Occidente ci si sta rendendo conto dei limiti di questa posizione (sono usciti, negli ultimi anni, diversi saggi in Italia e all’estero: si vedano autori come Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, Vittorio Possenti, Marcel Gauchet, J.F. Collange); né mancano denunce anche dal mondo cristiano: il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il papa Benedetto XVI, il patriarca Alessio II.
Da dove deriva questa idea insufficiente di “tolleranza”?
Ha le fondamenta nel liberalismo, in quel Locke, ad esempio, che assume, nella lotta contro l’assolutismo, alcuni spunti dal pensiero medioevale (con la mediazione del teologo anglicano Hooker, estimatore di Tommaso d’Aquino), ma come frutti staccati dall’albero. Sostenere questa linea di pensiero, infatti, è volere il portato culturale del Cristianesimo in Occidente (come l’idea dell’uguaglianza giuridica e della libertà naturale di tutti gli uomini, i diritti dell’uomo, la tolleranza, ecc.) senza la loro fonte storica ed il loro sostrato teoretico, appunto il Cristianesimo. Manca, in tal modo, la radice: i frutti sono andati avvizzendo e in parte marcendo. Lo si può vedere, ad esempio, nella relazione con gli Ebrei: il ghetto è una tipica invenzione moderna, che il Medio Evo non conosce. È un esempio caratteristico della “tolleranza” moderna!
C’è, però, una seconda idea di “tolleranza”, forse nuova per noi, ma in realtà precedente: come la versione individualista ha circa un paio di secoli, questa “nuova” idea è vissuta, in Occidente, un paio di millenni! Ritrovarla oggi è come trovare un frutto ancora sul ramo.
È la tolleranza con le radici (dove le radici sono la visione teoretica da cui deriva). Secondo questo punto di vista, gli altri sono occasione e fonte di crescita e di libertà (non un limite!).
Un esempio nel Novecento è il Personalismo (Mounier), con una doppia opposizione: noi non siamo “individui” (che significa “uniti in sé e separati dagli altri”), né un insieme di esseri umani è “collettività”. Noi siamo persone (caratterizzate cioè dalla relazione) e formiamo con gli altri una comunità (sulla base dell’amore, che è una forma chiara di interdipendenza, mi pare). L’esempio tipico del rapporto stretto tra “persona” e “relazione” è dato, nel Cristianesimo, dalla teologia trinitaria.
L’identità di ciascuno è punto di partenza del dialogo; lo scopo è la verità, che supera tutti gli interlocutori. Non si discute per pura e vuota curiosità, né per vincere; ma per capire, tutti insieme, qualcosa di più: dal dialogo può nascere un’idea nuova, che nessun interlocutore, singolo, avrebbe mai pensato Da dove deriva questa idea di tolleranza come “dialogo costruttivo”?
Indubbiamente, è presente nel Medio Evo. Tra le sue componenti, si possono indicare: l’idea che esista una verità che ci trascende, un’identità forte (mia e dell’interlocutore), una forte fiducia nel dialogo inteso come ricerca, il rispetto per l’identità altrui, l’idea di un’unica origine di tutti gli uomini (ricordo che Voltaire era poligenista!) e di una comunione/responsabilità tanto nel male (“se un membro soffre, tutto il corpo soffre”, dice San Paolo) quanto nel bene (possiamo pensare a concetti teologici come la comunione dei Santi, o il Corpo mistico). In tutto questo sono evidenti le radici bibliche. Posso citare la predica di un pastore protestante (evangelico):
se vedi uno che pecca, non criticare il peccatore, ma vivi tu più santamente!
Certamente, il Medio Evo conosceva la Bibbia meglio di noi. Ma la cosa interessante è che conosceva anche il Corano meglio di noi! Studiosi musulmani dell’Università di Tunisi fanno appunto notare che la nostra conoscenza del mondo islamico è molto inferiore a quella che l’Occidente aveva nel Medio Evo. Questo è ragionevole: se io stimo la mia fede, presumo che gli altri stimino la propria e, conseguentemente, desidero conoscerla.
Del resto, se quello in cui credo è vero, non ho certo paura di niente: tutto ciò che incontrerò mi aiuterà a capire meglio la mia stessa fede. Se poi fosse falso, il mio desiderio non può che essere di correggermi!
Una simile idea, si noti, di un dialogo anche interreligioso, non solo è presente nel Medio Evo cristiano, bensì anche in quello musulmano: è tradizione di parecchi califfi abbasidi l’organizzare dispute dottrinali tra varie correnti islamiche, cristiane ed ebraiche.
Anche in Occidente, dunque, questa linea è ben presente fino alla fine del Medio Evo. Tale apertura al dialogo è ben espressa da un autore del XIII secolo, Tommaso d’Aquino:
“Non mi interessa chi dice una cosa, mi interessa la cosa detta”.
Infatti, Tommaso aveva, tra le sue fonti e tra i suoi interlocutori, Cristiani, Musulmani, Ebrei, pagani… (oggi, io credo, aggiungerebbe tranquillamente i Buddhisti). Naturalmente, si rendeva conto delle differenze esistenti tra loro: ci spiega che il dialogo coi più diversi interlocutori presuppone sempre una base comune (un’interrelazione), anche se essa può variare: nel caso di cristiano eretico, si discute sulla base dell’intera Bibbia, che il Cristiano considera ispirata; nel caso di un Giudeo, si discute sulla base della parte di Bibbia che ci è comune; nel caso di chi non abbia in comune con noi nessun testo sacro, si discute sulla base della ragione, che è comune a tutti gli esseri umani. In effetti, trattava tutti con grande rispetto.
È noto, infatti, che, più io rispetto ciò in cui credo più tendo a rispettare le credenze altrui.
Magari discuterò seriamente per capire meglio la realtà. E, certamente, più sono disposto a correggermi, se scopro di sbagliare, più faccio credito di questo al mio interlocutore.
Ad entrambi interessa ciò che ci avvicina alla verità! A questo punto, il presupposto è (naturalmente) che la verità esista. Se no, perde significato anche il dialogo!
Se teniamo conto, dunque, della storia dell’Occidente e del contributo del Cristianesimo, non solo una nuova tolleranza è possibile, una tolleranza non sospetta, non individualista, ed anzi legata all’idea della comune fraternità umana e della comune creaturalità di tutto il mondo, che mi pare essere, se non mi sbaglio, quel “riconoscimento teoretico di un’interdipendenza reciproca” di cui il testo iniziale parla. Ma soprattutto questa nuova idea di tolleranza, sotto forma di dialogo costruttivo, fa già parte della cultura occidentale (e molto più dell’individualismo, frutto relativamente recente e, per certi versi, già vizzo!), cultura che non deve, per accoglierla, rinnegare se stessa, ma deve anzi riandare alle proprie più autentiche radici (e, tra queste, al Cristianesimo e alla Bibbia), radici capaci di produrre frutti freschi per l’oggi, senza fermarsi, come molti purtroppo fanno, a raccolte ormai stantie di annate precedenti.
Ritrovare la propria vera identità è ancora una volta il presupposto per un dialogo ed una tolleranza che, rispettosi delle identità altrui, vogliano dare testimonianza non a sé ed alle proprie qualità, ma alla Verità e, nella Verità, all’Amore.
Marcello Landi
Gruppo Biblico Ecumenico di Domodossola